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Mensile a cura dell’Ufficio Stampa del Consiglio Nazionale delle Ricerche
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N. 12 - 11 set 2013
ISSN 2037-4801
L'altra ricerca a cura di Rosanna Dassisti
Una nuova speranza per chi è in cerca di occupazione potrebbe venire dalle professioni legate al mondo dell’informatica e del web. Entro il 2015, si prevede che in Europa ci saranno circa 900mila posti di lavoro vacanti nel settore dell’Information and Communication Technology (Ict). Prospettive si aprono dunque per i 'carpentieri digitali’, gli 'operai 2.0’, progettisti di sistemi informatici, consulenti di software, analisti e sviluppatori di applicazioni, esperti di usabilità e accessibilità, medici e operatori sanitari specializzati nell'assistenza domestica grazie alla domotica, ingegneri esperti nella tecnologie a basso impatto ambientale, esperti di sicurezza dei sistemi. È quanto emerge dal Rapporto 'Professioni e lavoro nel 21° secolo’, curato dal think tank Glocus che, oltre a fornire una panoramica sull’andamento del mondo del lavoro, traccia uno scenario futuro, individuando i settori che promettono di diventare leader dell’economia europea e mondiale.
L’Internet economy italiana contribuisce alla formazione del Pil nella misura di appena il 2%, circa 32 miliardi di euro (studio McKinsey), rispetto alla media europea del 4% che vede picchi del 7% in paesi come Germania e Nord Europa. “Se raggiungessimo la media europea è come se incamerassimo ogni anno quattro 'finanziarie’”, sottolinea il rapporto. “L'unico modo per uscire da una situazione che vede il tasso di disoccupazione giovanile italiano al 40,5% è quello di riallineare l'offerta di lavoro alla domanda del mercato, riformando alla base il sistema della formazione. Non basta, dunque, una politica degli incentivi per le assunzioni, ma servono degli interventi volti a preparare i lavoratori a un mercato ormai cambiato".
Per questo, Glocus propone, accanto a una prioritaria riforma del diritto del lavoro e all'introduzione della formula contrattuale della 'flexsecurity', anche una profonda riorganizzazione dell'istruzione, a partire già dai cicli della prima infanzia, importando modelli che hanno registrato successi all’estero: dal sistema dei tirocini alla digitalizzazione della didattica universitaria.
“Noi partiamo in ritardo”, ha spiegato Linda Lanzillotta, presidente di Glocus, “perché abbiamo di fatto mancato l'obiettivo che l'Europa si era data per il 2000-2010. L'agenda di Lisbona ci diceva di puntare tutto sulla formazione, sulla ricerca, sull'innovazione. Per quanto riguarda l'Italia, invece, nell'ultimo quindicennio il settore dell'education è stato il più definanziato del bilancio pubblico a vantaggio dei settori della previdenza e della sanità”. In particolare, i consumi pubblici per le spese sanitarie sono aumentati dal 29,7 al 33,8% dal 1980 al 2009, mentre l'istruzione ha visto scendere la quota dal 25,7% al 20. “Abbiamo speso per gli anziani anche le risorse che dovevano costruire il futuro per i giovani”, ha concluso Lanzillotta, “ora dovremmo restituirgliene almeno una parte”.